lunedì, settembre 11, 2006

casa famiglia

Nando mi manda gentilmente questi ricordi.
Li pubblico al volo e lo ringrazio:

Caro Marco,
ricordare l’avvio della casafamiglia ad Orbetello ha smosso una brodaglia di ricordi che ti propongo per come mi vengono:

Prima ancora della legge 180 sulla chiusura dei manicomi, ricordo l’esigenza di una legge sulla riforma sanitaria per mettere in un canto i baroni della medicina e limitare i profitti delle multinazionali dei medicinali; in particolare ricordo uno sciopero generale indetto dai sindacati a cui parteciparono 2 o 300 mila operai. Quella, la successiva legge di riforma del diritto di famiglia e la legge sull’equo canone furono barattate rapidamente sull’altare della governabilità contro il terrorismo. Proprio in quel periodo ci fu la strage della scorta di Moro ed il successivo omicidio.
La speranza di poter vivere in un mondo migliore sbatteva contro le esigenze della realpolitik da una parte e l’insurrezionismo terroristico dall’altra.
Come uno squarcio apparve l’utopia di Basaglia sull’abbattimento delle barriere costruite intorno alla malattia mentale. Due film mi colpirono su questo tema: uno era intitolato “matti da slegare” un documento sulle condizioni di vita dei matti; l’altro “Diario di una schizofrenica” poneva al centro dell’attenzione non più la malattia, ma il malato. La protagonista diceva, a chiunque incontrasse, “io sto bene. Tu come stai?” e lo ripeteva in modo ossessivo.
Un’altra importante legge dell’epoca fu emanata per favorire l’accesso al lavoro delle nuove generazioni che ad Orbetello, caso più unico che raro, favorì la nascita di due cooperative che ora occupano un centinaio di addetti.
In quel magma prese corpo l’idea della casafamiglia che, insieme ad una risposta di ottemperanza alla 180 (la legge sulla chiusura dei manicomi) sposava l’esigenza di dare assistenza anche ad Antonio ormai privo di genitori e la sua zia non ce la faceva più ad accudirlo.
La casa di Antonio diventò la casafamiglia. Era la fine del 1978. Oltre Antonio primi ospiti furono Giovanna con la sua storia di vittima del bombardamento, e poi Vittorio con le sue manie religiose e Silvano che girava appeso alle sue borsette di plastica. (Ancora nel ricordo non mi è chiaro se era Silvano che portava le borsette o il contrario. ) I vicini risposero con simpatia soprattutto per Antonio finalmente accudito nei suoi bisogni quotidiani. A completare la popolazione di quella casa c’erano le assistenti: Claudia, Patrizia, Annie, Stefania e Cesare. Mi incuriosiva assai quell’agglomerato di persone: le prime con il loro carico di dolore e frustrazione durato tutta la vita e le altre in grado di rendere praticabile la speranza di riscatto. Per me Claudia diventò rapidamente quella che poteva comprendere e lenire il dolore della mia nevrosi.
Allora questo mixer aggregò un po’ di popolo di sinistra pressoché istituzionale. Piero Vongher sindaco partecipò ad alcune iniziative della casa gite e pranzi. Più ancora Pino Spinuzza ed Anna con il loro pulmino diventarono promotori di gite, ne ricordo in particolare una a Montalcino per la sagra del tordo (?) a cui partecipò la sinistra di movimento (ma ormai non muoveva solo se stessa) nelle persone dio Paolo Carradori e Marcello. Un’altra gita rimasta nel ricordo si fece a Montalto in occasione dell’occupazione del terreno contro la centrale nucleare organizzata dal partito radicale in cui fecero una delle prime uscite gli indiani metropolitani con il loro modo pittoresco di fare antagonismo. E’ singolare che dopo pochi anni Rosa, una delle indiane, diventò operatrice della casafamiglia.
Poi, come succede spesso, tutto è entrato nei binari della normalità. Rimane da qualche il seme della speranza che si ostina a vivere.

Nessun commento: